TARGUM

La Bibbia in aramaico: il targum arbërisht

Qualcuno si chiederà cosa hanno a che fare gli Arbёreshё (Il popolo occulto) con il il Targum: La Bibbia in aramaico.

Diciamo semplicemente, che l’Aramaico antico equivale all’Arbёrist, ovvero la lingua che parlano gli arbёresh.

Lingua, che gli arbёresh hanno ricevuto oralmente e, che si tramandano da genitori a figli di generazione in generazione.

Gli arbёresh, parlando di loro, dicono spesso:  gjàku sprìsht, oppure gjàku shprìshur (il sangue sparso) a intendere che questo popolo è sparso per il mondo.

diaspora [di-à-spo-ra] n.f. [pl. -e]
dispersione di un popolo nel
mondo dopo l’abbandono delle
sedi di origine; in particolare, la
dispersione degli Ebrei nel mondo
antico,dall’esilio babilonese (sec.
vi a.C.) in poi | dispersione di
persone prima raggruppate? Dal
gr. diasporá ‘dispersione’, deriv.
di diaspéirein ‘disseminare’

Per molti sembra difficile capire una cosa così semplice, e cioè che dalla Palestina siano passati in Grecia, in Albania e poi in Italia.
E’ particolare, invece, che abbiano una lingua non scritta e una cultura criptica, ma perfettamente in linea con la tradizione egizia (ricordiamo, che fino all’ottocento il geroglifico era sconosciuto) e con la natura del targum, trasmesso oralmente e soggetto a continua mutazione.
Per andare direttamente alla sostanza di questo argomento, diciamo subito cosa significa Targum in Arbёrist.

Targum : il mandato o l’inviato
Targuam : vi abbiamo mandato o inviato
Targuan : Hanno mandato
Targuar : mandato o inviato
Targònj : mando, mandare
Targòn  :  manda
Targòva:  ho mandato

Esso si riferisce o può definire il mandato, come documento scritto: ad esempio su pergamena, oppure una persona, che si invia per portare un messaggio.

In modo più completo potremmo dire che il messaggero è il messaggio, in questo caso stiamo parlando di un messaggio vivente e come dice il targum, trasmesso oralmente è soggetto a continua mutazione.

Il secolo XX segna una delle più importanti scoperte archeologiche mai fatte, il ritrovamento dell'antica biblioteca di Qumran, presso il Mar Morto. Gli antichi rotoli hanno fatto luce sulla fedele trasmissione del testo della Bibbia ebraica; ci hanno permesso di conoscere non solo il pensiero della comunità, ma anche i fermenti spirituali che circolavano nell'ambiente giudaico da due secoli prima della nostra era fino all'inizio della guerra che vide la distruzione di Gerusalemme e del tempio, 70 d.C.

Dovete sapere che: Qumran nella lingua arbёrist, per gli arbёresh, significa letteralmente " dove mi hanno picchiato " (Domenico Stamati)

La natura del targum

La parola targum significa "traduzione". Sembra dimostrato che la sua origine venga dalla lingua ittita, da un vocabolo che significa "annunciare", "spiegare", "tradurre". Nel Talmud "targum" designa i testi biblici in lingua aramaica: per "targum di Esdra" si intendono le parti aramaiche del libro di Esdra; per "targum di Daniele" si indicano le parti di Daniele in aramaico. In seguito per targum si intese la traduzione della Bibbia in lingua aramaica per l'uso liturgico della sinagoga. Quando cominciò quest'uso? La tradizione rabbinica ne riconosce l'inizio con Esdra, quando a Gerusalemme, alla porta delle Acque, fece la grande convocazione degli esiliati rientrati in patria (Ne 8,1-12). La popolazione non parlava più l'ebraico e nella sinagoga ci fu bisogno di tradurre il testo sacro nella lingua allora parlata, l'aramaico

parafrasi [pa-rà-fra-Si], ant. parafrase, n.f. invar. esposizione del contenuto di un testo con parole proprie, per lo più a scopo esplicativo: fare la parafrasi di un canto dell’Eneide? Dal lat. paraphrasi(n), dal gr. paráphrasis, comp. di para- ‘para-1’ e phrásis ‘frase’; propr. ‘frase simile’

esegesi [e-Se-gè-Si, alla greca eSègeSi] n.f. invar. interpretazione
critica di un testo sacro, o anche giuridico, letterario: esegesi
biblica, dantesca? Dal gr. ex¢ghesis, deriv. di exeghêisthai
‘condurre, guidare’, quindi ‘spiegare, interpretare’

Caratteristiche del targum

Caratteristica del targum è che la parafrasi si integra col testo, in quanto ne vuol dare il senso, attualizzandolo per i fedeli che frequentano la sinagoga. È frutto della ricerca esegetica propria della scuola (Bet ha-Midrash), ma trasmessa al popolo che si raduna in preghiera. Per questo

                    A.     Cerca di essere chiaro, comprensibile alla gente comune

                    B.      Introduce delle glosse di spiegazione

                    C.     È esegesi di livello popolare

                    D.     Elimina le contraddizioni

                    E.      Combina passi diversi della Bibbia, staccandoli dal proprio contesto per meglio attuarne il senso

                    F.      Attualizza dati storici e geografici; riflette le idee dell'epoca e dell'ambiente del traduttore; introduce parafrasi morali ed esortazioni

Per sua natura il targum è trasmesso oralmente ed è soggetto a continua mutazione. Ad un certo punto trova una sua stesura scritta. Nella
biblioteca di Qumran si trovano frammenti di targum dei libri di Giobbe e Levitico. Per il materiale più antico contenuto nelle recensioni scritte, giunte
sino a noi, il targum mostra di appartenere ad una tradizione comune di ambiente palestinese anteriore alla seconda rivolta contro Roma.

Voglio fare una piccola osservazione: Io non ho studiato ciò che oggi sottintendono come Aramaico, ma parlo Arbёresh (Arbёrist). Leggendo la frase (Bet ha - Midrash ) in base al linguaggio Arbёresh, il mio cervello traduce il testo nel modo seguente: (avete fatto da mangiare per me più spesso). (Domenico Stamati).......(Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio - Matteo 4:4).

                    Un esempio di doppia espressione:

                    ‘Veitkadishtem vijtem kedoshim’, ‘e vi sforzerete di essere santi, e sarete santi. Secondo il Mesech

                    in Albanese Veit= andavate, Kadisht=dove volevate

                    Parallelo rivelato da Stefano

documenti dalla cultura ebraica

Morti Viventi e Viventi Morti

27 Settembre, 2008 by ravblog

Una delle preghiere più famose di Rosh Hashanà è quella che descrive Dio come il Giudice che decide la sorte degli abitanti del mondo. Chi vivrà e chi morirà, chi sarà ricco e chi povero, e così via.

Fin da bambino mi sono chiesto la seguente semplice domanda: Se i nomi dei malvagi sono scritti nel libro dei morti e quelli dei giusti nel libro dei viventi, perché ogni anno vediamo morti che vivono e giusti che muoiono?

La risposta l’ho trovata nei Salmi di Davide. “I morti non lodano Dio” dice il salmista. Ma scusa, chiede il Talmùd, è forse necessario che David ci dica
che i morti non lodano Dio – sono morti!

Il Talmùd risponde che David si riferisce ai malvagi che anche durante la loro vita si chiamano morti e ai giusti che anche dopo la loro morte si chiamano
“viventi”. Si può quindi essere morti ma viventi e viventi ma morti…

Per capire ciò bisognerebbe definire meglio cosa è il significato di vita e morte nell’ebraismo.

La vita, spiega la mistica ebraica, è ciò che è eterno mentre la morte è ciò che viene interrotto, ciò che è transitorio e temporaneo.

Un piacere fisico potrebbe durare un certo tempo ma poi si interrompe.
Una mitzvà, d’altro canto, vuol dire un legame. Un legame con il Signore che trascende lo spazio e il tempo e continua ad esistere anche dopo la morte
del corpo.

Rav Shalom Hazan

Il Nemico - Dentro e Fuori

12 Settembre, 2008 by ravblog

Leggiamo all’inizio della Parashà odierna: “Quando muoverai guerra sui tuoi nemici ed il Signore tuo Dio lo darà in tua mano…”

Le parole della Torà sono molto precise e quando i nemici (plurale) diventano uno solo (“lo darà in tua mano…”) i vari commentatori e Midrashìm
cercano subito di capire qual è il significato profondo di quello che sembra essere un errore di grammatica.

Gli egiziani, gli amalekiti, i siriani, i babilonesi, i romani, gli almohades, i nazisti, i fascisti, i comunisti… Nei millenni della nostra storia non ci sono mai mancati i nemici.

In termini generali, essi possono essere divisi in due categorie. Quelli che volevano conquistare la nostra anima, il nostro stile di vita secondo la Torà,
rappresentati dal re Siriano-Greco Antiochus (la quale sconfitta festeggiamo ogni anno a Chanukà); e quelli che volevano semplicemente annientarci
fisicamente, rappresentati da Hamàn che ebbe il permesso dal re Assuero di uccidere ogni uomo, donna e bambino ebreo sulla faccia della terra
(esso ci ha lasciato con la festa di Purìm).

In effetti, però, il nemico è uno solo. Poiché un nemico del corpo ebraico odia anche lo spirito ebraico e il nemico della spiritualità del nostro popolo in
realtà non sopporta neanche la nostra esistenza materiale.

Questa è la prima lezione dalla Parashà di questa settimana: Occorre accorgersi che i molti nemici che potrebbere sembrare di esserli per una grande varietà di motivazioni, in realtà sono un solo nemico. Le motivazioni sono molte ma l’odio è unico.

Ci insegna anche, quindi, che il destino materiale e quello spirituale del nostro popolo sono legati senza possibilità di separazione.Che bisogna vedere
ogni attacco fisico contro un ebreo come un attacco contro lo spirito eterno d’Israele e vedere ogni minaccia spirituale come una contro
la sopravvivenza fisica.

Questa è una verità che esiste anche all’interno della persona stessa.

Il “nemico” che si trova dentro ognuno di noi, il Yetzer Harà, ossia l’inclinazione verso il male (che viene chiamato anche “Satàn”).È una vera e propria
lotta interna che si svolge continuamente e in ogni aspetto della nostra vita e il modo di vincerla è riconoscendo di essere “sui nemici” ossia sicuri di
essere di una superiorità morale e spirituale rispetto al nemico, cosa che ci aiuta a combattere ed a conquistare sia quello interno che quello esterno.

Adattato da rav Shalom Hazan dalle opere del Rebbe di Lubavitch זי“ע

Il termine Sukot (סוכות o סֻכּוֹת entrambi sukot), meglio Sukkot o Succot, si riferisce ad una festa di pellegrinaggio della durata di 8 giorni (7 giorni in
Israele). È conosciuta anche con i nomi di "Festa delle capanne", "Festa dei tabernacoli" e "Tabernacoli". Nell'Ebraismo è una delle festività ebraiche
più importanti. Il termine fa riferimento, inoltre, ad una località di cui si parla nella Bibbia Ebraica.

La parola "sukot" è il plurale della parola ebraica sukah che significa, per l'appunto capanna. Il termine sukah nel linguaggio comune indica proprio la
capanna che viene costruita appositamente per la celebrazione della festa.

La festa di Sukot ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto durante il loro viaggio verso la terra promessa, la terra di Israele. Durante il loro
pellegrinaggio nel deserto essi vivevano in capanne (sukot). La Torah ordina agli ebrei di utilizzare, per la celebrazione della festa, quattro specie di
vegetali: il lulav (un ramo di palma), l'etrog (un cedro), tre rami di mirto e due rami di salice. Il cedro viene impugnato separatamente dai rami che
invece sono legati assieme con la canapa.

Gli Arbёreshё di Castroregio e Plataci dicono ... Kaliva ka kot ... dove Kaliva è la capanna e kot o kotat è una località.

Kalivat e shùmё ... le molte capanne

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